Santi Felice e Fortunato - Parrocchia Limena

Parrocchia di Limena
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Santi Martiri Felice e Fortunato
Patroni della nostra Comunità
II culto per i martiri Felice e Fortunato è tra i più antichi delle nostre regioni. Le fonti letterarie, liturgiche e archeologiche confermano la storicità della devozione ai due fratelli vicentini.
 
Le testimonianze agiografiche restano documenti indicativi dell'importanza che il culto dei martiri rivestì nella Chiesa delle origini. La figura del martire infatti assume nella fede un risalto particolare: egli è visto come colui che, offrendo in sacrificio la vita per testimoniare la fede, ripercorre la Passione e Morte di Cristo. Diventa in questo modo un esempio per tutta la Chiesa, degno della beatitudine celeste, tanto vicino a Dio per i propri meriti da poter intercedere per tutti i fedeli. Ecco perché la memoria dei martiri è per la Chiesa giorno di festa e di celebrazioni speciali, mentre la conservazione delle loro reliquie ha richiesto l'erezione di spazi privilegiati per il loro culto e per l'incontro con Dio.
 
La storia di qualsiasi uomo finisce con la sua morte, mentre la vita del martire inizia con la sua fine mortale e il suo sepolcro diventa non solo monumento, ma meta di pellegrinaggi. Perché? Perché c'è l'inizio di una nuova vita e i resti mortali, non solo non vengono dimenticati, ma onorati da tutti i cristiani.
 
Così fu anche per i nostri Santi Patroni Felice e Fortunato, le reliquie dei quali, dopo 17 secoli dalla loro morte, sono oggi venerate nella Cattedrale di Chioggia dentro una preziosa urna d'argento e nella Basilica vicentina dei Santi Felice e Fortunato, in una cappella detta “martyrion”.
 
Felice e Fortunato erano due giovani commercianti vicentini che per motivo di lavoro s'erano trasferiti ad Aquileia, in quel tempo centro attivo di commercio sul mare. Verso la fine del 200 e all'inizio del 300 era in atto la persecuzione dell’imperatore Diocleziano contro i cristiani ed anche la nostra terra veneta non ne fu esentata. I due giovani vennero sorpresi (probabilmente intorno al 303-304) dalle guardie imperiali mentre pregavano in un bosco vicino alla città. Furono incatenati e condotti davanti al governatore Eufemio e severamente interrogati. Prima di rispondere, Felice e Fortunato fecero il segno di croce e poi dissero il loro nome proprio per dimostrare che erano prima d'ogni altra cosa cristiani. Si scatenò allora il furore del presidente del tribunale che li consegnò nelle mani dei carnefici, i quali li sottoposero subito ad un vero e proprio martirio. Felice e Fortunato resistettero coraggiosamente alla verga, al fuoco e allo stiramento delle membra, anzi, con chiara voce, domandarono la benedizione di Dio. Il governatore più che mai adirato, ordinò che con sassi si percuotessero le loro bocche e venisse versato sui loro corpi olio bollente. Ma ancora una volta Felice e Fortunato uscirono illesi dalle mani del carnefice ed esplosero in un canto di fiducia: «L'aiuto nostro è nel nome di Dio; Egli ha fatto cielo e terra».
 
I due giovani cristiani apparvero al governatore della città come una specie di stregoni, capaci di strani incantesimi, perché, da pagano qual era, non poteva pensare che i cristiani fossero persone forti e serene nel subire persecuzioni e minacce. Per intimorirli non restava che la scure e infatti non esitò ad ordinare la decapitazione fuori le mura della città. Felice e Fortunato ancora una volta appresero la notizia tremenda con serenità, tanto da seguire le guardie senza ribellione. Amavano Dio e sapevano che sarebbero entrati nel suo Regno: questo era il motivo per cui accettavano il martirio.
 
Giunti sul luogo stabilito, s'inginocchiarono, pregarono insieme, si baciarono per l'ultimo addio e presentarono la testa al carnefice. Primo fu Felice, poi Fortunato e pochi momenti dopo la loro vita terrena era conclusa. Le guardie, eseguito il compito, se ne andarono e così anche i pagani curiosi che avevano assistito alla condanna.
 
I corpi dei Santi Martiri sarebbero rimasti là, perché nessuno avrebbe osato seppellire le salme di persone mandate a morte dall'Imperatore, ma alcuni cristiani di Aquileia, chiesero al governatore i loro corpi e li ottennero, perché la legge romana lo consentiva. Durante la notte essi si portarono sul luogo del martirio con aromi e lini per raccogliere i Santi Corpi e darne degna sepoltura. Contemporaneamente giunse anche un gruppo di cristiani vicentini, che, essendo ad Aquileia per il loro commercio e saputa la cosa, desideravano dare sepoltura ai loro concittadini e rendere omaggio al loro coraggio e alla loro fede. Nacque tra i due gruppi una vivace discussione che, secondo la tradizione, venne risolta nel seguente modo: i Vicentini ritornarono in patria portando il capo di S. Felice e il corpo di S. Fortunato; ad Aquileia poteva restare invece capo di S. Fortunato e il corpo di S. Felice.
 
Questa versione dei fatti, è frutto di una pia leggenda, perché dagli esami clinici compiuti nelle reliquie conservate a Vicenza, risulta chiaramente che il capo e il corpo sono della stessa persona: che è venerata con il nome di san Felice.
 
Il corpo di San Felice, quindi, venne portato a Vicenza e sepolto e onorato in una basilica paleocristiana, che lungo il corso dei secoli subì grandi trasformazioni. Nel secolo scorso, la basilica, dedicata ai Santi Felice e Fortunato, vide un restauro radicale che durò dal 1935 al 1993 e che la riportò al suo splendore originale. A fianco del lato meridionale della basilica, sorge un sacello, il “martyrion”, dove sono venerate le reliquie del Santo.
 
Il Corpo di San Fortunato rimase sepolto ad Aquileia per 149 anni fino a quando, nel 452 venne spostato nelle isole della Laguna Veneta perché Attila, Re degli Unni e chiamato "flagello di Dio", aveva invaso quelle terre. Gli abitanti di Aquileia si rifugiarono in luoghi più sicuri portando con sé le cose più preziose e quindi anche le reliquie di San Fortunato, che però vennero poi dimenticate per il susseguirsi di numerose lotte, mentre solo un fatto prodigioso le riporterà alla luce.
 
Nel 630 venne nominato Patriarca di Grado Primigenio che, tramite un sogno, fu avvisato da Dio di raccogliere le spoglie di S. Ermagora, primo patriarca di Aquileia dopo S. Marco, e quelle di San Fortunato sepolti in quei luoghi. Più tardi, dopo circa quattro secoli (tra il 1026 e il 1044), furono trasportale di nascosto a Malamocco dove rimasero fino al 1110, anno in cui il vescovo Enrico Grancarolo le trasferì a Chioggia unitamente alla sede vescovile. Anche qui per molti anni furono circondate dal silenzio e pare ci sia stato un altro fatto straordinario per riportarle alla venerazione dei fedeli. Infatti nel 1608 il vescovo Lorenzo Prezzato, avvisato in sogno, fece scoprire e rinnovare la mensa di un altare della Cattedrale da cui emersero le reliquie. La scoperta risvegliò nei fedeli clodiensi la devozione verso i Santi Patroni, le cui sacre spoglie vennero deposte in un'urna costruita in marmo ed inaugurata il 12 luglio 1612.
 
Non finirono qui le vicende delle reliquie venerate a Chioggia. Nel 1623, nella notte tra il 25 e il 26 dicembre, un incendio distruggeva letteralmente la magnifica Cattedrale dell'XI secolo e i capolavori d'ogni genere in essa custoditi, mentre veniva salvata da alcuni marinai e operai muratori proprio l'urna delle reliquie di San Fortunato che venne sistemata provvisoriamente nella Chiesa di S. Andrea e murata sotto l'altare maggiore.
 
Dopo la peste, mentre Venezia, per voto del popolo, faceva erigere il ricco tempio della Salute, in Chioggia lo stesso architetto Baldassare Longhena dava inizio alla nuova Cattedrale, dove poi vennero riposte solennemente le reliquie del Santo Martire.
 
Nel 1903 il vescovo Ludovico Marangoni, in occasione delle celebrazioni centenarie del martirio dei Santi Felice e Fortunato a Vicenza, sua città natale, commissionò al prof. Aristide Naccari di Chioggia il disegno di un'urna nuova, bella, più agile per poterla portare in processione e ridonare le reliquie al culto popolare clodiense. Nel 1905, dopo un attento esame, le reliquie vennero sistemate nella nuova urna unitamente alle documentazioni storiche esistenti.


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